All’interno dello Stato Etico (preferibilmente mondiale, ma comunque
anche possibile come Stato nazionale), fondato sui principi
filosofico-idealistici della razionalità dialettica e della libertà
sostanziale, gli individui possono realizzare la propria essenza creatrice
tramite la vita etica familiare e lavorativa. In tal modo la Ragione Assoluta,
il Logos, si riproduce. In questo senso gli esseri umani individuali sono mezzi
per la realizzazione dell’Assoluto, che gli sopravvive. Dove ciò porterà, se un
giorno l’umanità non sarà più mezzo dell’Assoluto, ma governerà essa stessa
l’Assoluto, non è dato sapere.
Vi è però un premio terreno che l’individuo riceve per aver garantito la
riproduzione dell’Assoluto: si tratta della felicità. L’individuo che vive in
modo etico, ossia che crea una famiglia stabile, all’interno della quale dà la
vita sia naturale sia spirituale ad altri esseri umani, e che tramite il
proprio lavoro soddisfa i bisogni di altri esseri umani, da lui riconosciuti
come fine e mai considerati invece come mezzo, ha come gratificazione un
sentimento di contentezza, di appagamento che lo rende appunto soddisfatto,
appagato, contento. Questa è una felicità spirituale, condita da momenti di
vera gioia, quale possono essere per es. la fase dell’innamoramento, la nascita
di figli, la riuscita o l'ottenimento di un progetto ed insomma tutti
quei momenti particolarmente significativi e pieni di coinvolgimento anche emotivo
che scandiscono la vita etica degli individui. All’interno di questa felicità
spirituale, che è quella adeguata alla natura appunto spirituale dell’essenza
razionale propria dell’essere umano, vengono soddisfatti anche quei bisogni,
quelle pulsioni, quegli istinti di carattere maggiormente materiale, che ne
costituiscono la componente non essenziale, ma comunque anche esistente, ossia
la corporeità.
La vita etica dell’essere umano è dunque una vita piena, sia spirituale
sia corporea. La felicità è di carattere spirituale, ma tale da contenere anche
il soddisfacimento della sensibilità.
È venuto ora infatti il momento di parlare di qualcosa che finora non è
stato ancora trattato: le passioni, i sentimenti, insomma l'aspetto emotivo
della personalità umana.
È evidente che l'essere umano non è soltanto da una parte, come spirito,
razionalità e creatività e dall'altra, come corpo, istinti materiali di
riproduzione della specie e dell'individuo, ma è anche emotività, sentimenti,
passioni, insomma la dimensione cosiddetta 'patica', in quanto noi in essa
siamo appunto passivi, subiamo tali emozioni, non le possiamo creare.
Nondimeno, al contrario degli istinti, che anche subiamo, le passioni ed
i sentimenti ci riempiono la vita di significato, ci rendono felici, quanto
possiamo viverli in modo positivo, ma anche infelici, quando invece non
riusciamo in ciò. Se per es. abbiamo una forte passione per la cultura, ma per
vari motivi, magari del tutto contingenti, non riusciamo a praticarla, per es.
perché oberati di lavoro e di altri problemi relativi alla gestione della
famiglia, tale passione non ci renderà felici, quanto piuttosto infelici,
saremo infatti tristi per il fatto di non riuscire a praticarla quanto
vorremmo. La stessa cosa si può dire della passione per una donna o per un
uomo: se essa non è corrisposta avremo dolore, infelicità, se corrisposta
invece gioia, felicità.
Quindi le passioni ed i sentimenti relativi di gioia o di dolore da una
parte riempiono la nostra vita e veramente, come dicevano Goethe e Hölderlin,
nulla di grande può esser fatto al mondo senza passione. Dall'altra parte essi
possono anche provocare in noi uno stato d'infelicità anche grave, per cui in
sostanza il nostro atteggiamento nei loro confronti non dev'essere naturalmente
di repressione, poiché sono elementi essenziali alla vita, ma sicuramente di
controllo. Noi dobbiamo essere i guardiani delle nostre passioni, dobbiamo
trattarle come si fa con un cane aggressivo: lasciarle libere, quanto capiamo
che possono soltanto provocare gioia e non causare alcun danno, ma tenerle ben
strette al guinzaglio, se notiamo invece che esse possono provocarci infelicità
e quindi renderci, da essere creativi e razionali, quali nella nostra essenza
siamo, esseri invece passivi e irrazionali.
Il punto fondamentale è che noi siamo schiavi delle passioni, mentre
liberi nelle azioni, appunto nella creatività. Ma non possiamo vivere senza
passioni, perché solo queste danno potenza e significato alle nostre azioni. Il
lavoro lo faremo tanto meglio quanto di più lo ameremo, quindi quanto più
potente sarà la nostra passione per esso; anche nell'amore verso la nostra
compagna o il nostro compagno di vita, saremo tanto più 'appassionati' e quindi
amorevoli, quanto più forte sarà la nostra passione verso lei o lui. Ma questo
elemento emotivo, questa passività, dev'essere da noi trasformata in attività,
quindi la passione per un lavoro è ben che ci sia, ma se per caso nella nostra
vita non ci sarà dato di poter svolgere proprio quel mestiere, non dobbiamo
farci abbattere dall'infelicità, dal dolore provocato da questa necessaria
rinuncia, poiché l'importante dal punto di vista etico è lavorare in modo
creativo e fare qualcosa per soddisfare i bisogni dei nostri simili, questo è
l'essenziale e l'irrinunciabile. Facendo ciò, anche se il lavoro non
corrisponderà alle nostre aspettative ed alla nostra passione, nondimeno saremo
fieri di noi, contenti di aver fatto qualcosa per la società, e quindi saremo
ripagati sia in modo materiale, tramite la remunerazione, che ci consentirà di
soddisfare poi anche i nostri bisogni di cibo ecc., sia in modo spirituale, in
quanto saremo contenti, fieri di noi stessi e di aver contribuito al benessere
dei nostri simili.
Lo stesso ragionamento va fatto nel caso dell'amore e della famiglia: si
può avere una passione non corrisposta per un altro essere umano e ciò
naturalmente può provocare dolore, quindi emozioni negative. Dobbiamo reagire e
capire che l'importante è l'aspetto attivo e creativo, dunque fondare una
famiglia con un essere umano col quale naturalmente stiamo volentieri, col
quale ci sia comunanza di vedute ed insomma in linea generale il piacere di
vivere insieme, anche se magari il legame non è così passionale e forte. La
creazione della famiglia ci ripagherà poi di tutto e ci renderà felici, di una
felicità consapevole ed attiva, di una pienezza di cuore e di ragione, di una
fierezza di aver fatto qualcosa d'importantissimo, ossia dell'aver dato vita ad
altri esseri umani, di averli educati come persone positive e perbene, oltre
che di aver consentito ad un altro essere umano, il nostro partner, di essere a
sua volta genitore e moglie o marito.
Insomma, senza le passioni non si può fare nulla di grande nel mondo, ma
se ci facciamo dominare dalle passioni, allora non faremo proprio nulla e
rischieremo di andare a fondo. Se le passioni sono il mare che trasporta la
nostra nave, la nave della nostra vita, noi allora da bravi capitani non
dobbiamo farci travolgere dalle onde, ma sapere esserne sempre in cima, seguire
il moto ondoso sì, ma sempre restando noi al comando della nave, mai lasciarla
in balia delle onde.
In conclusione, il premio terreno della vita etica dell'essere umano è
allora la felicità. Essa si fonda anche su emozioni e su passioni, che però
l'individuo ha dominato e trasformato da fattori passivi in attivi. Essi sono
dunque ora parte di un progetto più ampio, che è un progetto attivo di
creatività economica (il lavoro), politica (la partecipazione passiva o attiva
alla vita dello Stato) e familiare (la famiglia).
La vita per la realizzazione di questi ideali è una vita piena,
realizzata, naturalmente fatta di alti e bassi, non sempre tutte le giornate
saranno piene di sole, ma la progettualità alla base dell'operare quotidiano
darà un senso ai nostri giorni e quindi ci renderà felici, soddisfatti,
realizzati.
Naturalmente si tratta di una felicità etica, quindi da adulti, non
quella propria dei bambini; è quindi una felicità accompagnata dalla coscienza
della finitezza della vita umana, una felicità in qualche modo accompagnata
dalla malinconia causata da tale coscienza. Ma più di tanto l’essere umano non
può fare: l’infinità sta nella compiutezza del finito, come si è visto nella
parte relativa alla logica, non nella ripetizione all’infinito degli atti di
vita. Pertanto noi dobbiamo aspirare ad una vita compiuta, realizzata, piena,
non ad una vita eterna, se vogliamo restare sui binari della logica.
Dunque la vita stessa ha una fine, in quanto ha un compimento. L’essere
umano può far tutto affinché la propria vita sia infinita nel senso di essere
compiuta, di aver realizzato qualcosa d’importante in essa. Oltre questa
compiutezza non può però andare, anche se l’anelito ad andarci è presente. Così
anche noi non possiamo andare oltre il concetto della felicità, un po’ velata
di malinconia, che abbiamo appena presentato.
L’essere umano che con costanza e caparbietà supera tutte le difficoltà
della vita, anche la stessa malinconia, e porta avanti tenacemente la
realizzazione della vita etica, ha ‘carattere’. Il carattere è appunto la
fermezza, fondata possibilmente su di un sapere filosofico, di quali siano i
veri valori della vita. Tale sapere è la fonte della saggezza, che abbiamo
visto essere lo scopo della filosofia. Saggezza che quindi può e deve essere
quindi di tutti e non solo di pochi.
Possa questa conferenza contribuire a che nel mondo ci sia un pizzico in
più di saggezza, di carattere, di felicità!
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