Friday, 20 January 2017

MORTE vita

Conoscere la nostra mortalità non consiste semplicemente nell’anticipare la nostra fine, così
come quella di tutti e di tutto quel che amiamo: saperci mortali è innanzitutto saperci votati
alla perdita. La cosa più grave non è esattamente non durare ma, piuttosto, che tutto si
perda come se non fosse mai esistito”. - F. Savater1
Con la morte è necessario essere onesti fino in fondo. Non ha senso pregarla di attendere,
di ripassare più tardi. Non ha senso fuggirle lontano… Samarcanda
www.musixmatch.com/lyrics/Roberto-Vecchioni/Samarcanda è ovunque e lei è sempre lì,
imperturbabile ad attenderci, mai davvero stupita del nostro correre di qua e di là. E non ha
senso maledirla, vituperarla. Se c’è un colpevole in tutta questa stranissima storia che siamo
chiamati a vivere non è certo lei. Lei non è altro che un’umile operaia di questa sconfinata
vigna, incaricata di recidere, senza un attimo di sosta, tralcio dopo tralcio.
Forse ha ragione il saggio, stravagante poverello e giullare dei semplici e dei sofferenti:
dovremmo imparare a vederla, a sentirla come una “sorella”. Una sorella in un mondo di
affratellati dalla consapevolezza dell’essere nati da un’unica grande madre.
Di una cosa sono fermamente convinto: quando ci chiediamo che cosa sarà di noi “dopo” ci
domandiamo soprattutto che senso potrà mai avere tutto quello che facciamo “adesso”. E il
nostro “adesso” cambia colore e sapore a seconda del come rispondiamo alla domanda sul
“dopo”. E’ un po’ quello che diceva un filosofo francese del ‘600, un certo Blaise Pascal, a
proposito dell’esistenza di Dio. A seconda del fatto che Dio ci sia o non ci sia, tutto il senso
della nostra vita cambia radicalmente. Perché se “non c’è” vuol dire che c’è solo l’”adesso”
e che l’”adesso” è destinato a ricevere un valore assoluto (perché non c’è altro: tutto si gioca
qui e tutto finisce qui). Se, invece, “c’è”, allora tutti gli “adesso” finiscono per essere
premesse, preamboli, prefazioni o, se preferite, aperitivi rispetto al “dopo”. O, meglio,
laboratori, palestre, accademie dove noi siamo chiamati a dimostrare quel che valiamo, per
capire a quale “dopo” avremo diritto.
Io non credo in Dio ed in ogni caso i credenti non devono arrivare alla conclusione
pascaliana, in linea con la tradizione medioevale-controriformistica del cattolicesimo,
secondo cui la vita terrena andrebbe vissuta nella prospettiva del sacrificio, della penitenza e
della rinuncia ascetica.
Credo, infatti, che nel “qui e ora” siamo chiamati
1. a chiederci chi siamo;
2. a fare cose che ci permettano di stare bene con noi stessi e, possibilmente, con gli
altri.
3. ad operare in vista di un nostro sviluppo positivo, nella soddisfazione e nel
compiacimento intellettuale, emotivo, fisico, finanziario (condisce tutto) e morale.
1 < http://en.wikipedia.org/wiki/Fernando_Savater >
Insomma, sia che io veda la mia vita come un “prima di”, sia che la veda come un “tutto qui
e basta”, dovrei sentirmi chiamato ad impegnarmi affinché sia possibile ridurre, quel fardello
di fatica e di dolore che l’esistenza sempre comporta, e ad attivare tutto quello che, invece,
può aiutare a far sviluppare una felicità piena, estesa e duratura.
Per cui, si potrebbe anche dire che il problema del “dopo”, come il problema di “dio”,
ragionando in una consapevole e responsabile prospettiva umanistico-antropologica,
verrebbe ad essere, se non del tutto accantonato, almeno messo fra parentesi.
Oppure, si potrebbe dire che l’unica risposta valida al problema del “dopo” stia tutta qui, nel
nostro presente, in quello che noi siamo e vogliamo essere, nell’essere che vogliamo per noi
e per gli altri.
Una salutare meditazione ''E la morte dov’è?'' Cercò la sua solita paura della morte, la
paura d’un tempo, e non la trovò. Dov’era? Quale morte? Non c’era nessuna paura perché
non c’era nemmeno la morte. Al posto della morte c’era la luce.” - L. Tolstoj
Molti filosofi ci hanno detto che, per vivere bene, dovremmo meditare a lungo sulla morte,
anzi, che la meditazione sulla morte dovrebbe diventare il vero centro gravitazionale e
direzionale della nostra es istenza. “ Pensa sempre alla morte, se non vuoi mai temerla”,
ripete con insistenza, ad esempio, Seneca nelle sue bellissime lettere a Lucilio! (L.A.
Seneca, Lettere a Lucilio, lett.30.)
A dire il vero, però, un po’ tutti quanti noi (dotti e meno dotti), ma soprattutto i giovani,
quando sentono fare discorsi di questo tipo, in genere reagiscono con scongiuri più o meno
grossolani, pensando che siano discorsi tetri, pessimistici, roba da vecchi, da gente che vive
nei musei e nelle biblioteche e che farebbe bene ad andare un po’ a spasso, magari a
prendersi un gelato.
Ma provate, almeno per un attimo, a chiedervi, con un pizzico di serena disponibilità, quale
potrebbe essere il senso dei discorsi di questi filosofi. Che cosa, cioè, avranno voluto dirci?
Era, il loro, soltanto un modo sfibrato, sfiduciato di vedere le cose, o, forse, volevano farci
capire qualcosa di importante su di noi?
Chissà, forse volevano dirci che quello che stiamo vivendo, per quanto grande e bello, dovrà
sparire e che, POI FORSE, ci troveremo a vivere un’altra vita per la quale dovremmo, fin da
ora, imparare ad “attrezzarci”. A capire, cioè, in cosa consista, a capire come potrà
funzionare, come dovremmo noi orientarci a ben affrontarla. Non ci credo.
O, forse, volevano dirci che, essendo fugace l’esistenza terrena, dovremmo capire che ciò
che veramente importa è quello che noi sapremo fare di essa. E cioè che, soltanto
ricordandoci della morte che, implacabile ci attende, sarà possibile, per noi, scegliere bene
fra le infinite opportunità che abbiamo di fronte, in modo da far nascere solo ciò che
veramente merita di nascere. Perché il tempo è poco e sono poche le cose che meritano di
viverci dentro. Insomma, ci vorrebbero dire: “ Attenti a non sperperare in modo sciocco,
avventato, impulsivo il tempo (sempre poco, pochissimo) che ci è dato. Valutate bene come
investirlo, a cosa dedicarlo, a chi donarlo. State attenti, soprattutto, a non buttarlo, a non
farvelo rapinare, a non farvelo inquinare. Sforzatevi di capire che ogni briciola di tempo è un
tesoro, è un capitale preziosissimo che va difeso, ma, soprattutto, usato per vivere
esperienze degne di essere vissute!”.
Volevano dirci, come afferma Seneca, che “ solo il tempo è nostro” e che quanto più
riusciremo ad essere padroni dell’oggi, tanto più saremo padroni dell’incertissimo domani!
Il confronto con la morte dovrebbe diventare, quindi, una fonte di riflessione per far sì che il
nostro pensiero si ponga, innanzitutto, il problema del significato, del valore delle scelte che
facciamo, chiedendosi quali criteri utilizzare, chiedendosi quali concetti di bene e di male
prendere in considerazione, interrogandosi su quali valori e quali gerarchie di valori adottare,
ecc. In pratica, il pensiero della morte dovrebbe condurci a prendere consapevolezza del
carattere limitato del nostro essere e a far sì che dalla coscienza della nostra finitezza possa
scaturire non un vivere cicalone, bensì un vivere ragionato, capace di conferire diritto di
cittadinanza nella sfera del nostro io soltanto a quanto risultato idoneo, o, almeno, a sbarrare
la porta a tutto quello che ci apparisse non meritevole del nostro assenso, delle nostre
attenzioni, del nostro breve, brevissimo tempo che la vita ci dona.
In definitiva, il meditare sulla morte ci obbligherebbe a non essere più figli del caos e del
caso, a costruire un cosmos di princìpi, di idee-guida, di finalità individuali e collettive. A far
sì, come diceva Marco Aurelio , che, indipendentemente dal credere nella casualità o meno
del mondo, si riesca a fare della nostra vita qualcosa di non affidato unicamente all’arbitrio
del caso.
Se, infatti, la nostra esistenza fosse illimitata, se non fossimo neppure sfiorati dal pensiero
della fine, il nostro vivere sarebbe un vivere dilatato, senza argini, senza confini, un vivere
che assai difficilmente sarebbe in grado di problematizzarsi, di partorire concetti come quello
di “fine”.
Senza la certezza della nostra fine, tutto scorrerebbe senza ansia e senza fretta (ma anche
senza alcun valore!), senza che in noi possa sorgere l’esigenza, il bisogno di interrogarsi in
merito al “fine”, e quindi al significato, di questa esistenza “finita”.
Si potrebbe affermare, addirittura, che tutto il pensiero umano scaturisce dalla dolorosa
consapevolezza della nostra finitezza e che tutto ciò che esso produce aspira (in un modo o
nell’altro) ad assegnarle una qualche forma di finalità.
Perché, altrimenti, nulla si capirebbe, nulla avrebbe senso.
VITA / ESISTENZA
Fin dall’antichità, l’uomo ha cercato di comprendere il significato e il senso della vita. E’ un
tema ricorrente in filosofia, letteratura, poesia e arte. La filosofia greca sostiene che il senso
della vita consiste nel curare l’anima. La dottrina filosofica moderna e contemporanea e di
recente le neuroscienze identificano l’esistenza come progettazione, realizzazione della
propria individualità e aspirazione alla perfezione.
Finche l’essere vivente – è scritto nei Veda – “non si interroga sui valori spirituali
dell’esistenza deve conoscere la sconfitta e i mali nati dall’ignoranza”.
Sono questioni cui si potrà rispondere – afferma il filosofo argentino J.J.Sanguineti – soltanto
con il ricorso alla filosofia, alle neuroscienze, all’antropologia e all’etica. Discipline che hanno
lo scopo di approfondire l’essenziale dell’essere umano nel suo rapporto con il mondo e le
altre persone, e che contengono “verità irrinunciabili”, ovvero primi principi sulla nostra
esistenza, sull’esistenza del mondo diverso da noi, sulla nostra capacità di conoscere il bene
e il male, il giusto e l’ingiusto, sul senso della vita e sui progetti esistenziali.
Per comprendere le grandi questioni che scandiscono la vita umana, il punto di riferimento è
il pensiero antico, a partire da Socrate e Platone. La loro presenza oggi è viva e
determinante perché offrono un quadro di rimando generale ed essenziale. Nell’ambito dei
pensatori e studiosi contemporanei, si avverte la modernità del pensiero di questi filosofi.
Il senso dell’esistenza, per Socrate, è riconoscere che l’essenza della natura umana sta
nella sua psyché, ossia nella sua anima, nel suo cervello, e quindi in ciò che permette
all’uomo di diventare “buono” o “cattivo”. Egli deve occuparsi soprattutto della sua anima in
modo che essa diventi “migliore il più possibile”.
I comportamenti etici non nascono dai beni materiali ma dalla virtù, sottoponendo ad analisi
interiore se stesso e gli altri in una ricerca continua. Una vita senza ricerche, per Socrate,
“non è degna per l’uomo di essere vissuta”.
Un altro eminente filosofo che ha “costretto” ( A. Torno ) tutti i pensatori a “prendere in
prestito” qualcosa dal suo pensiero è Platone, il padre della filosofia occidentale e l’inventore
dell’anima, una sostanza spirituale indipendente dal corpo e immortale (dualismo
ontologico). Si torna al filosofo greco quando si discute del senso della vita, del vero, del
bello e del bene, costringendoci a riflettere sulle cose esistenti, sulla realtà, il mondo,
l’anima, la virtù, la felicità.
Sono tutti argomenti che vengono trattati nell’interessante e prezioso libro di Ivo Nardi, che
s’intitola “ Riflessioni sul senso della vita2 3 4”.
2 "Utopia Razionale: Qual è il senso della vita?." 2015. 25 Sep. 2016
< http://utopiarazionale.blogspot.com/2015/03/qual-e-il-senso-della-vita.html >
3 "Sense Of Life - Importance Of Philosophy." 2002. 25 Sep. 2016
< http://www.importanceofphilosophy.com/Esthetics_SenseOfLife.html >
L’autore ha raccolto in questo volume il contributo di oltre cento personalità della cultura,
della scienza, della letteratura e dell’arte sulla base di dieci domande sui grandi temi
esistenziali che scandiscono la nostra vita.
Parto da un termine vago e impegnativo come la felicità. Per la maggior parte degli autori, la
felicità è stata definita come assenza di male, serenità, aspirazione dell’essere umano,
benessere, assenza di dolore, ricerca della conoscenza, sommo bene, stato di pienezza. La
felicità è un sentimento legato all’amore, un altro termine tra i più abusati nel nostro
linguaggio. Alcuni degli intervistati hanno asserito che vi sono tanti amori quanti sono i livelli
di coscienza, mentre altri l’hanno descritto come affetto, comprensione, conforto, passione
travolgente, dedizione, compassione, stato spirituale, dono.
Sul tema della sofferenza, molti autori, come ad esempio Boncinelli, hanno rilevato che la
vita è “univocamente connessa alla sofferenza e al male, mentre la morte è vista come
trascendenza, evento naturale, minaccia incombente, l’inizio di una nuova vita, rinascita,
annichilimento, grande mistero. Sugli obiettivi della vita, le riflessioni hanno riguardato
l’esigenza di non danneggiare nessuno, dare corpo ai propri sogni, cercare momenti di
serenità, alleviare la sofferenza, ricerca della conoscenza, benessere spirituale,
realizzazione di sé e del divino che è in noi, proiettarsi verso il futuro, realizzare un mondo
migliore.
Una delle domande concerneva il problema dell’individualismo. Alcuni autori hanno
opportunamente sottolineato il duplice significato del termine: garanzia di autonomia, di
libertà e affermazione della propria personalità oppure individualità come un male,
condizione di anomia sociale, figlio dell’egoismo.
Un altro angoscioso e fondamentale argomento di riflessione già analizzato da filosofi,
scrittori e teologi di tutti i tempi e di tutti gli orientamenti è stato quello sulle origini e sui
motivi dell’esistenza del bene e del male. E’ appena il caso di rilevare che lo statuto
metafisico della condizione esistenziale si fonda proprio sui principi del bene e del male,
principi che sono in perenne lotta tra loro e che da sempre governano la vita dell’uomo. Essi
corrispondono alle due pulsioni originarie teorizzate da Freud : pulsione di vita ( eros) e
pulsione di morte ( thanatos). Queste intuizioni sono state confermate dalla ricerca delle
neuroscienze, le quali mostrano che il cervello umano è una combinazione di bene e male,
aggressività e violenza, altruismo ed egoismo, miseria e nobiltà.
Anche l’ignoto come dimensione occulta, arcana è stato esaminato nel libro di Nardi ed è
stato descritto come affascinante, angosciante o terrorizzante. La cultura è vista come
l’unica difesa contro l’ignoto, considerato anche una sfida, un lievito formidabile, un
dispensatore di gioia o di sofferenza e di creatività.
4 "Quotes About Meaning Of Life (582 quotes) - Goodreads." 2011. 25 Sep. 2016
< http://www.goodreads.com/quotes/tag/meaning-of-life >
L’ultima domanda riguardava in particolare il senso della vita. Sono domande che hanno
tante risposte quanti sono i cervelli che esistono, perché ogni cervello è unico, irripetibile e
diverso dall’altro. Ogni essere umano darà un “colore unico” alla propria esistenza. Il senso
della vita può quindi essere amare e dare, conoscenza, comportamento morale, scoperta
del grande mistero del proprio Io, ricerca spirituale, vivere in armonia con se stessi e gli altri,
partecipazione all’evoluzione della specie, risvegliare la scintilla divina presente in ciascun
essere umano.
Arnaldo Guidotti
P.S.
‘MORTE’ in maiuscole e ‘vita’ in minuscole significa che sono vicino alla morte

1 comment:

Ivo Nardi said...

Grazie dott. Guidotti per la citazione e complimenti per l'articolo.