Sono anni che non si può più andare in Yemen,
la situazione non fa che peggiorare e dopo il tentativo di colpo di
stato siamo al caos istituzionale nel paese della regina di Saba e Bin Laden, dell'Islam più atavico e dei droni che sorvolano i turbanti dei membri di al-Qaida... E così appena Adelphi ha pubblicato Un viaggio in sambuco
ho pensato: come si fa a non imbarcarsi per il porto di Hodeidah con
Norman Lewis, malgrado il tanfo che arriva da sottocoperta, il caldo e
l'assenza di vento?
Malgrado i rischi e le mille proibizioni dell'imam Yahya, compresa quella di indossare orologi da polso...
Non voglio chiudere gli occhi di fronte agli altri racconti di questa raccolta di viaggi avventurosi e assurdi, lievi ed estremi allo stesso tempo. Ci sono scene indimenticabili, come quando lo scrittore di Enfield, ufficiale dell'esercito inglese durante la seconda guerra mondiale, accompagna in nave una folla derelitta di soldati sovietici, originari dell'Uzbekistan, ai quali gli inglesi regalano rasoi. Gli uzbeki non hanno la minima intenzione di farsi la barba e si ingegnano - dopo il tempo tremendo della prigionia sotto i tedeschi, in cui la fame li ha spinti al cannibalismo - trasformando i rasoi in strumenti musicali: piccoli violini, liuti, flauti e ribeche: “Ben presto le viscere della nave vibrarono delle acute sonorità della musica orientale... Una squisita arte teatrale aveva trasformato un uomo che si era cibato di carne umana in una tenera principessa intenta a sfogliare un giglio mentre il suo spasimante cantava una tremula canzone d'amore”.
Nel 1935, quando Lewis riceve dal Colonial Office la proposta di compiere la missione, pochi occidentali hanno messo piede in Yemen e il Foreign Office lo mette in guardia sul rischio di essere creduti spie e decapitati. Con Lewis si imbarca per la penisola araba Ladislas Farago, giornalista di origine ungherese diventato celebre nel Regno Unito per Abissinia on the eve, un libro sull'impresa coloniale dell'Italia di Mussolini. Il viaggio fino a Aden, che allora non faceva parte dello Yemen, dura nove giorni. Qui li aspetta il sambuco per Hodeidah.
Aden è governata dagli inglesi ma ci sono molti ufficiali italiani, e si dice che dopo la conquista dell'Abissinia nella grossa crapa del Duce si agiti qualche pensierino imperialista sullo Yemen, una terra che giace sul fondo più atavico della Penisola Araba e si trova tra Corno d'Africa e India, che ha vallate perennemente verdi simili al paradiso islamico e deserti infuocati. I motivi della presenza militare italiana sono anche altri... Testimone semi-invisibile e discreto, Lewis attraversa le vicende più incredibili con appassionato distacco, descrivendole in pochi tocchi lucidi e precisi, senza perdere il controllo stilistico. Ecco come descrive Aden: “Era una specie di setaccio cosmico, attraverso il quale passava un flusso ininterrotto e pressoché incontrollabile di viaggiatori in arrivo da ogni angolo d'Oriente – e d'Occidente”. E ancora: “Dopo sei settimane di permanenza, Aden non aveva più segreti per noi, o quasi. Andando in giro per la città avevamo notato, con qualche apprensione, parecchi militari italiani in borghese – che però Ladislas sosteneva essere richiamati qui da una singolare attrazione. Si trattava, in sostanza, del miglior bordello di tutto il Mediterraneo, un complesso di lindi, graziosissimi villini progettati da un ex prete cattolico, che scegliendo il posto si era ispirato a una sua personale visione del paradiso. C'era un gran profumo, perché tutte le pareti erano coperte di gelsomini rampicanti. La tenutaria era tale Halva (Dolcezza), una stupenda quattordicenne che esimeva dal pagamento delle prestazioni i clienti in grado di recitarle una poesia decente”.
(La traduzione del racconto Un viaggio in sambuco, che dà il titolo alla raccolta, è di Matteo Codignola).
Il sambuco, una rudimentale barca a vela comune nel Mar Rosso, con vela triangolare latina, finalmente sembra prossimo a partire, lasciandosi alle spalle la costa con i suoi cantieri preistorici. Il timoniere è un falconiere kuwaitiano che conserva il costume tipico della caccia, conosce tutte le specie di uccelli marini e sa orientarsi con le stelle. Quasi tutti i marinai sono del Bahrein. Il “nakhoda”, il capitano, è un uomo imponente e arcigno, che guida i passeggeri nella preghiera almeno cinque volte al giorno. Sul sambuco, come su ogni sambuco di quell'epoca e di quel luogo, c'è anche una “portafortuna”, una ragazza somala di “stupefacente bellezza” che lascia dietro di sé una “scia di gelsomino”. Nonostante alcune note di orientalismo romantico, la navigazione si rivela durissima e infinita. Il vento è intermittente, a tratti debole e per altri tratti del tutto assente: “Dopo una notte di viaggio le enormi rocce di Aden ci erano ancora sopra, a poppa”. Nel mare ci sono gli squali, e Lewis e Farago vengono dissuasi dall'idea di tuffarsi per sfuggire al caldo quando la nave è immobile sul cristallo delle acque. I bisogni si fanno in una “seggetta” attaccata alla nave che quando il mare è mosso sbalza l'occupante su e giù tra i flutti: “E dato che le tempeste nella regione potevano durare anche una settimana, la cosa si faceva seria: come non avremmo tardato a scoprire, infatti, in caso di burrasca il sambuco trascinava la seggetta fin dentro il tenebroso cavo dell'onda, prima di scaraventarla in cielo”. Nonostante questo sistema a bordo il caldo e la puzza sono insopportabili. Per fortuna i due viaggiatori hanno preso posto sul ponte e non in coperta: “Avanzavamo in una distesa di seta bollente”. In vista di una tempesta vengono invitati a scendere sotto coperta ma prima devono giurare di non molestare le donne. Poiché il giuramento di un infedele vale come una moneta falsa, gli si chiede di convertirsi.
“Gli risposi che ci avremmo senz'altro pensato su”, scrive Lewis la cui grazia e ironia narrativa, applicata a contesti sempre duri, ne fa il narratore definito da Graham Greene come uno dei migliori scrittori inglesi del '900. Consideriamo uno dei suoi libri più famosi, Napoli '44, in cui descrive lo stesso inferno di Malaparte nella Pelle e con la stessa sensibilità per gli ultimi: si può pensare a due narratori più diversi, per la posizione occupata sulla scena e lo stile? Non a caso sulla copertina dell'edizione Adelphi c'è un sambuco di Stefano Faravelli, bravissimo autore di carnet di voyage in acquerello, una mano nitida quanto lieve.
Ma torniamo sul sambuco vero, quello su cui è imbarcato Lewis. Dopo una tempesta particolarmente potente, il nakhoda decide di compiere una variazione di percorso verso l'isola di Kamaran, che vuol dire “due lune” e deve il suo nome “al fatto che in certe condizioni il riflesso della luna sul mare si vede contemporaneamente da entrambi i lati dell'isola”. Il terreno era arido e inospitale, nell'acqua c'erano solo squali. Gli abitanti di Kamaran vivevano della pesca delle perle ed erano dunque “il gradino più basso della piramide che fornisce beni di lusso all'umanità”. L'isola è sotto il controllo inglese, c'è un governatore, tale Thompson, che vive con la moglie e gira a bordo di una Ford T per controllare il territorio. Sono “le persone più sole che abbia mai conosciuto”. Se la sono passata bene quando Thompson era attaché militare all'ambasciata inglese di Tehran, “una delle pochissime città mediorientali in cui fosse ancora possibile vivere con una certa decenza”. Lewis e l'amico, mentre il sambuco, il cui nome è Al-Qhat (La verità), viene riparato, vengono imbarcati su un vaporetto che li porta in quella che è considerata la porta dello Yemen, Hodeidah.
La presenza occidentale qui è molto ridotta e messa alla prova dalla rigidità della vita vissuta secondo i precetti islamici: “Un inglese, la cui ditta aveva una filiale ad Hodeidah, si era trovato nei guai per avere importato un grammofono. Dopo un po' gli era stato permesso di usarlo, ma solo in una stanza senza accesso alla spiaggia dove, con tutte le finestre chiuse, la musica veniva soffocata dal rumore delle onde”. Altrove non se la passano meglio: “Nello Yemen gran parte delle attività, eccettuate quelle che hanno a che fare con la mera sopravvivenza, venivano considerate 'contro la volontà di Dio'. Tutti i crimini più gravi erano puniti con la decapitazione, mentre chi rubava piccoli oggetti o anche il cibo subiva il taglio della mano”. E dunque “Era proibito cantare, e persino fischiare, ma si poteva essere puniti anche per aver dato a un cavallo un nome umano, per aver camminato all'indietro, per montagne, e per aver indicato la luna – gesto ritenuto superstizioso”.
Arrivati finalmente nel porto Norman Lewis e l'amico non vengono fatti sbarcare: “Il comandante ci disse che Sua Altezza, il re, sperava che fossimo venuti per vendergli le armi con cui difendere il suo paese. Se le cose stavano così, se cioè avevamo con noi gli ultimi modelli di fucili e mitragliatori, Sua Maestà avrebbe gradito prenderne visione, ma se invece eravamo qui solo per andarcene in giro per lo Yemen e spiarne le difese, non ci avrebbero lasciato sbarcare”. Della città Lewis e l'amico non calpesteranno il terreno. Restano al porto giusto per vedere una decapitazione esibita al solo scopo di metterli al corrente dei pericoli dello spionaggio: “Sa, questa gente non è crudele per natura, anzi. Quello crudele è il loro Dio”... (come è semplice e saggia questa sintesi dell'Islam). La nave riprende la navigazione diretta a Gedda, che pur sempre Arabia ma meno atavica dello Yemen: “A Gedda quando una nave arriva in porto l'Onnipotente rimane chiuso nelle moschee”. Si può dire meglio questa capacità araba di fare affari con l'Occidente?
E così Lewis deve rinunciare a visitare lo Yemen e anche noi restiamo sconsolati sulla banchina come lui, come sempre. Solo più avanti scoprirà che il suo strano compagno di viaggio ungherese - durante la lunga attesa a Aden si erano persi di vista – è riuscito nella missione. È riuscito a entrare dopo avere conosciuto un mercante di pellicce che gli ha dato, per così dire, una copertura. Una lettera di incarico come suo rappresentante per sondare il terreno. Ne scriverà in un libro, The riddle of Arabia, uscito nel '39, che si può trovare online a prezzi da antiquariato non modici. La sorte, nonostante la scaltrezza, non gli riserva la stessa fama di Lewis... Mi piace ricordare come inizia Un viaggio in sambuco (“Negli anni Trenta i desideri in cima alla mia lista erano due: viaggiare e scrivere”) e come si conclude il suo coccodrillo sul Guardian nel 2003: “An omnibus edition of his novels in Russian translation outsold Tolstoy. And his lilies were some of the rarest in England”.
Malgrado i rischi e le mille proibizioni dell'imam Yahya, compresa quella di indossare orologi da polso...
Non voglio chiudere gli occhi di fronte agli altri racconti di questa raccolta di viaggi avventurosi e assurdi, lievi ed estremi allo stesso tempo. Ci sono scene indimenticabili, come quando lo scrittore di Enfield, ufficiale dell'esercito inglese durante la seconda guerra mondiale, accompagna in nave una folla derelitta di soldati sovietici, originari dell'Uzbekistan, ai quali gli inglesi regalano rasoi. Gli uzbeki non hanno la minima intenzione di farsi la barba e si ingegnano - dopo il tempo tremendo della prigionia sotto i tedeschi, in cui la fame li ha spinti al cannibalismo - trasformando i rasoi in strumenti musicali: piccoli violini, liuti, flauti e ribeche: “Ben presto le viscere della nave vibrarono delle acute sonorità della musica orientale... Una squisita arte teatrale aveva trasformato un uomo che si era cibato di carne umana in una tenera principessa intenta a sfogliare un giglio mentre il suo spasimante cantava una tremula canzone d'amore”.
Nel 1935, quando Lewis riceve dal Colonial Office la proposta di compiere la missione, pochi occidentali hanno messo piede in Yemen e il Foreign Office lo mette in guardia sul rischio di essere creduti spie e decapitati. Con Lewis si imbarca per la penisola araba Ladislas Farago, giornalista di origine ungherese diventato celebre nel Regno Unito per Abissinia on the eve, un libro sull'impresa coloniale dell'Italia di Mussolini. Il viaggio fino a Aden, che allora non faceva parte dello Yemen, dura nove giorni. Qui li aspetta il sambuco per Hodeidah.
Aden è governata dagli inglesi ma ci sono molti ufficiali italiani, e si dice che dopo la conquista dell'Abissinia nella grossa crapa del Duce si agiti qualche pensierino imperialista sullo Yemen, una terra che giace sul fondo più atavico della Penisola Araba e si trova tra Corno d'Africa e India, che ha vallate perennemente verdi simili al paradiso islamico e deserti infuocati. I motivi della presenza militare italiana sono anche altri... Testimone semi-invisibile e discreto, Lewis attraversa le vicende più incredibili con appassionato distacco, descrivendole in pochi tocchi lucidi e precisi, senza perdere il controllo stilistico. Ecco come descrive Aden: “Era una specie di setaccio cosmico, attraverso il quale passava un flusso ininterrotto e pressoché incontrollabile di viaggiatori in arrivo da ogni angolo d'Oriente – e d'Occidente”. E ancora: “Dopo sei settimane di permanenza, Aden non aveva più segreti per noi, o quasi. Andando in giro per la città avevamo notato, con qualche apprensione, parecchi militari italiani in borghese – che però Ladislas sosteneva essere richiamati qui da una singolare attrazione. Si trattava, in sostanza, del miglior bordello di tutto il Mediterraneo, un complesso di lindi, graziosissimi villini progettati da un ex prete cattolico, che scegliendo il posto si era ispirato a una sua personale visione del paradiso. C'era un gran profumo, perché tutte le pareti erano coperte di gelsomini rampicanti. La tenutaria era tale Halva (Dolcezza), una stupenda quattordicenne che esimeva dal pagamento delle prestazioni i clienti in grado di recitarle una poesia decente”.
(La traduzione del racconto Un viaggio in sambuco, che dà il titolo alla raccolta, è di Matteo Codignola).
Il sambuco, una rudimentale barca a vela comune nel Mar Rosso, con vela triangolare latina, finalmente sembra prossimo a partire, lasciandosi alle spalle la costa con i suoi cantieri preistorici. Il timoniere è un falconiere kuwaitiano che conserva il costume tipico della caccia, conosce tutte le specie di uccelli marini e sa orientarsi con le stelle. Quasi tutti i marinai sono del Bahrein. Il “nakhoda”, il capitano, è un uomo imponente e arcigno, che guida i passeggeri nella preghiera almeno cinque volte al giorno. Sul sambuco, come su ogni sambuco di quell'epoca e di quel luogo, c'è anche una “portafortuna”, una ragazza somala di “stupefacente bellezza” che lascia dietro di sé una “scia di gelsomino”. Nonostante alcune note di orientalismo romantico, la navigazione si rivela durissima e infinita. Il vento è intermittente, a tratti debole e per altri tratti del tutto assente: “Dopo una notte di viaggio le enormi rocce di Aden ci erano ancora sopra, a poppa”. Nel mare ci sono gli squali, e Lewis e Farago vengono dissuasi dall'idea di tuffarsi per sfuggire al caldo quando la nave è immobile sul cristallo delle acque. I bisogni si fanno in una “seggetta” attaccata alla nave che quando il mare è mosso sbalza l'occupante su e giù tra i flutti: “E dato che le tempeste nella regione potevano durare anche una settimana, la cosa si faceva seria: come non avremmo tardato a scoprire, infatti, in caso di burrasca il sambuco trascinava la seggetta fin dentro il tenebroso cavo dell'onda, prima di scaraventarla in cielo”. Nonostante questo sistema a bordo il caldo e la puzza sono insopportabili. Per fortuna i due viaggiatori hanno preso posto sul ponte e non in coperta: “Avanzavamo in una distesa di seta bollente”. In vista di una tempesta vengono invitati a scendere sotto coperta ma prima devono giurare di non molestare le donne. Poiché il giuramento di un infedele vale come una moneta falsa, gli si chiede di convertirsi.
“Gli risposi che ci avremmo senz'altro pensato su”, scrive Lewis la cui grazia e ironia narrativa, applicata a contesti sempre duri, ne fa il narratore definito da Graham Greene come uno dei migliori scrittori inglesi del '900. Consideriamo uno dei suoi libri più famosi, Napoli '44, in cui descrive lo stesso inferno di Malaparte nella Pelle e con la stessa sensibilità per gli ultimi: si può pensare a due narratori più diversi, per la posizione occupata sulla scena e lo stile? Non a caso sulla copertina dell'edizione Adelphi c'è un sambuco di Stefano Faravelli, bravissimo autore di carnet di voyage in acquerello, una mano nitida quanto lieve.
Ma torniamo sul sambuco vero, quello su cui è imbarcato Lewis. Dopo una tempesta particolarmente potente, il nakhoda decide di compiere una variazione di percorso verso l'isola di Kamaran, che vuol dire “due lune” e deve il suo nome “al fatto che in certe condizioni il riflesso della luna sul mare si vede contemporaneamente da entrambi i lati dell'isola”. Il terreno era arido e inospitale, nell'acqua c'erano solo squali. Gli abitanti di Kamaran vivevano della pesca delle perle ed erano dunque “il gradino più basso della piramide che fornisce beni di lusso all'umanità”. L'isola è sotto il controllo inglese, c'è un governatore, tale Thompson, che vive con la moglie e gira a bordo di una Ford T per controllare il territorio. Sono “le persone più sole che abbia mai conosciuto”. Se la sono passata bene quando Thompson era attaché militare all'ambasciata inglese di Tehran, “una delle pochissime città mediorientali in cui fosse ancora possibile vivere con una certa decenza”. Lewis e l'amico, mentre il sambuco, il cui nome è Al-Qhat (La verità), viene riparato, vengono imbarcati su un vaporetto che li porta in quella che è considerata la porta dello Yemen, Hodeidah.
La presenza occidentale qui è molto ridotta e messa alla prova dalla rigidità della vita vissuta secondo i precetti islamici: “Un inglese, la cui ditta aveva una filiale ad Hodeidah, si era trovato nei guai per avere importato un grammofono. Dopo un po' gli era stato permesso di usarlo, ma solo in una stanza senza accesso alla spiaggia dove, con tutte le finestre chiuse, la musica veniva soffocata dal rumore delle onde”. Altrove non se la passano meglio: “Nello Yemen gran parte delle attività, eccettuate quelle che hanno a che fare con la mera sopravvivenza, venivano considerate 'contro la volontà di Dio'. Tutti i crimini più gravi erano puniti con la decapitazione, mentre chi rubava piccoli oggetti o anche il cibo subiva il taglio della mano”. E dunque “Era proibito cantare, e persino fischiare, ma si poteva essere puniti anche per aver dato a un cavallo un nome umano, per aver camminato all'indietro, per montagne, e per aver indicato la luna – gesto ritenuto superstizioso”.
Arrivati finalmente nel porto Norman Lewis e l'amico non vengono fatti sbarcare: “Il comandante ci disse che Sua Altezza, il re, sperava che fossimo venuti per vendergli le armi con cui difendere il suo paese. Se le cose stavano così, se cioè avevamo con noi gli ultimi modelli di fucili e mitragliatori, Sua Maestà avrebbe gradito prenderne visione, ma se invece eravamo qui solo per andarcene in giro per lo Yemen e spiarne le difese, non ci avrebbero lasciato sbarcare”. Della città Lewis e l'amico non calpesteranno il terreno. Restano al porto giusto per vedere una decapitazione esibita al solo scopo di metterli al corrente dei pericoli dello spionaggio: “Sa, questa gente non è crudele per natura, anzi. Quello crudele è il loro Dio”... (come è semplice e saggia questa sintesi dell'Islam). La nave riprende la navigazione diretta a Gedda, che pur sempre Arabia ma meno atavica dello Yemen: “A Gedda quando una nave arriva in porto l'Onnipotente rimane chiuso nelle moschee”. Si può dire meglio questa capacità araba di fare affari con l'Occidente?
E così Lewis deve rinunciare a visitare lo Yemen e anche noi restiamo sconsolati sulla banchina come lui, come sempre. Solo più avanti scoprirà che il suo strano compagno di viaggio ungherese - durante la lunga attesa a Aden si erano persi di vista – è riuscito nella missione. È riuscito a entrare dopo avere conosciuto un mercante di pellicce che gli ha dato, per così dire, una copertura. Una lettera di incarico come suo rappresentante per sondare il terreno. Ne scriverà in un libro, The riddle of Arabia, uscito nel '39, che si può trovare online a prezzi da antiquariato non modici. La sorte, nonostante la scaltrezza, non gli riserva la stessa fama di Lewis... Mi piace ricordare come inizia Un viaggio in sambuco (“Negli anni Trenta i desideri in cima alla mia lista erano due: viaggiare e scrivere”) e come si conclude il suo coccodrillo sul Guardian nel 2003: “An omnibus edition of his novels in Russian translation outsold Tolstoy. And his lilies were some of the rarest in England”.
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