published by FT - Original in English - Translation
in Italian by Corinne McLeod
10.3.2015
Conversazione con l’ing. Arnaldo
Guidotti – residente in Libia dal 1990 come direttore Emaco Group Libya filiale
di Emaco Group, Viareggio Italia e Emaco Group International, Roma Italia - che
gestiva in marzo 2011 contratti per infrastrutture di 280 milioni €.
Tra i 400 e
i 500 milioni di euro al mese. A tanto ammonta il costo della crisi libica per
l’Italia, tra appalti e commesse già nell’orbita di Roma, ma che hanno dovuto
subire un brusco stop. Punto di partenza i numeri: l’Italia è il primo partner
commerciale della Libia con circa 11,6 miliardi € d’interscambio, un dato che
rispetto al 2010 è oggi in calo del 50%. Nonostante il caos del post-Gheddafi
siamo ancora i maggiori destinatari delle esportazioni libiche relative a
patrolio e gas: lo dimostrano le rilevazioni del primo semestre 2014 con
l’export dell’Italia verso la Libia che ammonta a 1,8 miliardi (-15,4%) e
l’import a 3,05 miliardi (-58,6%).€
LIBIA STRATEGICA
“Per noi la
Libia è troppo importante, non possiamo lasciar perdere” osserva. Alcune aziende
turche si stanno iniziando ad affacciare su quello scenario, “e noi non
possiamo permetterci di lasciare il passo ad altri”. Guidotti conferma che se
la bufera nel Paese dovesse passare, rientrerebbero senza dubbio tutte le
aziende italiane, oltre ad altri soggetti, e “non vi sarebbero particolari
controindicazioni, anche perché le imprese lì hanno commesse e di lavoro da
fare ce n’è tanto”. Per cui l’intenzione, appena possibile, è quella di farvi
ritorno. Dal punto di vista del calo
del fatturato “non nascondiamo che siamo preoccupati, lo eravamo già
stati in occasione della crisi politica, ma questa volta i riverberi potrebbero
essere ancora più gravi per via di prospettive imprenditoriali che già c’erano
per noi relativamente ad alcune infrastrutture”. Tutto quindi verrà rallentato,
comprese le decisioni su possibili future acquisizioni.
IL RUOLO DI PRODI
E’
auspicabile dipanare la matassa libica aspettando l’Onu o puntando su un
negoziatore esperto, dopo i risultati poco confortanti del lavoro svolto
dall’inviato speciale Bernardino Leon?
Secondo Guidotti l’importante è evitare un intervento armato, perché “sarebbe l’errore maggiore”.
“Rischierebbe di far diventare la Libia un’altra Somalia, con tutti gli effetti
collaterali del caso”. La Libia si trova “a un passo dal nostro Paese”. E un
intero universo imprenditoriale è in attesa che “la politica italiana si decida
a spingere l’ex presidente della Commissione
Europea Romano Prodi come partner di Leon, che fino ad oggi non ha raggiunto alcun risultato”.
VOLUTO DALLA LIBIA
Perché
Prodi? In primo luogo, secondo Guidotti, “perché è il nome che tempo fa avevano
chiesto gli stessi libici, per via della sua conoscenza approfondita del
dossier politico-economico-energetico del Paese, dove coltiva relazioni decennali.
La politica italiana ha tentato “di metterlo in disparte a causa di beghe
interne e non lo ha sponsorizzato per via di eventuali ombre su qualcuno:
questo è un dato di fatto reale”. Per queste ragioni è sbagliato fare
riferimento a operazioni di “peace
keeping o peace enforcing, ma serve andare su altri tavoli”.
RACCORDO
Bisognerà
fare un lavoro sul territorio dove, ragiona Guidotti, occorre “una figura
libica di una certa caratura, come alcune personalità legate a famiglie
storiche del Paese contrarie al regime penso all’80enne Senussi, che faccia da raccordo con chi guiderà l’operazione e
soprattutto sia l’emblema della pacificazione”. Sarebbe un buon inizio di
dialogo, “ma guardando un momento all’esterno non conterei
troppo sull’aiuto del presidente egiziano
Al-Sisi”. La parte islamista di Tripoli infatti non
accetterebbe di buon grado una mano del Cairo, percepito come ostile per aver
preso le parti del governo laico di Tobruk e del generale Haftar”. Un altro
problema, per Guidotti, “è in Italia”.
STASI POLITICA
Come
“evidente da alcuni mesi”, c’è un nodo da sciogliere a Roma, dove “la politica
dovrebbe farsi più attiva sul caso libico”. Più in generale, secondo Guidotti,
serve smetterla di cincischiare sulla politica estera: “Renzi oggi,
ma anche Letta ieri, non hanno
voluto capire a fondo la questione libica, che per noi è strategica dal punto
di vista petrolifero, imprenditoriale e anche migratorio”. Sono
fermi miliardi di commesse, ci sono lavori da portare a termine e da avviare,
oltre a “relazioni peculiari. Le nostre aziende sono affidabili ed efficaci”.
Lo scorso febbraio, la conferenza sulla Libia è stata messa un po’ in ombra
dalla crisi ucraina, ma in quell’occasione anche il presidente americano Barack Obama aveva più volte invitato
il nostro Paese a farsi parte attiva verso Tripoli. “E invece – ricorda – a
settembre è stata la Spagna ad aprire un tavolo sulla Libia, guadagnando la
posizione di Bernardino Leon come inviato ad hoc dell’ONU. Quest’ultimo, pur
molto volenteroso, non ha prodotto risultati perché Madrid non può vantare con
Tripoli quelle relazioni che invece esponenti italiani avrebbero potuto mettere
in campo”.
LATITANTE
Dopo la
conferenza l’Italia è stata “latitante ad arte”, limitandosi a parlare del solo
versante dell’immigrazione. “Purtroppo è andata così”, dice Guidotti. Il tutto
rientra “nell’atavica incapacità” della nostra politica di “concentrarsi sui
tavoli tematici”, come quando Obama disse che il dossier libico era
di pertinenza esclusiva dell’Italia. “E noi siamo solo riusciti a
tenere aperta la nostra ambasciata fino ad un mese fà”. Ma poi? Il fatto in sé di aver riconosciuto
il governo di Tobruk mentre “la nostra ambasciata che era da tutt’altra
parte, a Tripoli, non è stata mai toccata, vuol dire che l’Italia aveva saldi
rapporti con entrambe le parti”. E oggi che Libia c’è? “Senza benzina, con
banche chiuse, bancomat muti e negozi senza prodotti”
FINE
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