IL SENSO DELLA MIA VITA
MIE DOMANDE E MIE RISPOSTE
giugno 2014
ESILIO Tripoli Libia
1) Normalmente le grandi
domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della
morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, Che
cos’è per me la felicità?
Non è affatto così nel
mio caso giacché queste domande importanti sull’esistenza o sulla felicità me
le sono poste in altri momenti, in momenti felici. La felicità non la si
riconosce mai quando la si sta vivendo, ma sempre dopo. E’ una consapevolezza
postuma. Si dice sempre: Ah com'ero felice!
Mai: Ah come sono felice!
Segno che la felicità è misteriosa e difficile da riconoscere mentre la
stiamo vivendo. Molto chiara invece e riconoscibile salta fuori come rimpianto.
Il che fa dubitare della sua reale esistenza.
A differenza della gioia,
che è un’esperienza momentanea, localizzabile in tempi e motivi definiti, forse
la felicità ha un significato più generale. Aristotele
avvertiva che una vita può essere eventualmente giudicata felice solo dopo che
si è compiuta. Io userei anche un’altra formula, che mi piace molto e che dice
così: felice è quella vita che realizza nella maturità (e/o nella vecchiaia) il
sogno della giovinezza.
La felicità è raggiungere
gli obiettivi prefissati nella vita, avere amici, avere intorno la famiglia,
essere capaci di pensare e trovare almeno alcune risposte. Per me forse la
felicità è poter trovare risposte usando il nostro (di illustri pensatori e – umilmente
- mio) pensiero.
2) cos’è per me l’amore?
L’amore è indubbiamente
il più intenso dei sentimenti poiché è la somma di molti; nell’amore, come io
lo intendo, confluiscono la necessaria chimica tra due persone, l’erotismo e la
lealtà. Talvolta entrambe od una delle due diventa impossibile.
L'amore è sentire che non
si può fare a meno di una persona. Ma sarebbe importante da tenere presente
che:
a) la persona che ami non
ti deve niente, b) che non è tua solo perché la ami, c) che non hai nessun
diritto su di lei.
Ovvero devi rispettare la
sua libertà e la sua persona per quello che è e non pretendere che sia come tu
la vuoi…
So che è difficile, ma
l’amore può fare questo miracolo. L'amore- possesso, l’amore-gelosia,
l’amore-tirannia, l’amore-ossessione, sono copie a volte grottesche dell'amore
più bello che è sempre generoso.
Hegel
diceva che l’amore è essere uguali in potere. La formula è bella e nobile, ma
credo difficilmente realizzabile (c’è sempre chi ama di più di chi è amato e
viceversa, magari a fasi alterne). Un segno certo dell’amore potrebbe essere il
seguente: quando la felicità e la realizzazione dell’altro ci stanno a cuore
indipendentemente o addirittura di più delle nostre. Questo può accadere, mi
sembra di averlo sperimentato in me e in altri.
3) Come spieghi
l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
La sofferenza non ha
grandi spiegazioni, è parte dell’equilibrio della vita. Si vive tra l’allegria
e la sofferenza.
Il Cristianesimo lo
spiega con la cacciata dal Paradiso, il luogo dove non si conosceva il dolore.
Il male rimane comunque un mistero; da dove viene e perché? E se Dio è
onnipotente e fatto tutto di bene, perché non caccia il male? E perché nel
mondo prevale il male? Insomma rimane un enigma. Io che sono laica tendo a
pensare che il male sia parte delle forze dell'universo. La natura ha in sé la
capacità di distruggere e la capacità di costruire. Queste due forze si
contrappongono e creano conflitti a non finire. Gli esseri umani cercano
disperatamente e a volte poeticamente, di trovare un equilibrio fra queste due
forze potenti e terribili.
Non ho nessun bisogno di
spiegarmi la sofferenza, forse perché non sono religioso. Diciamo che per ogni
sofferenza ci sono buone ragioni, nel senso di ragioni sufficienti (come diceva
Leibniz) a spiegarne
l’insorgere. Di alcune possiamo cercare di attutire, o addirittura eliminare,
gli effetti. Di altre no. Che qualcuno poi me lo spieghi oppure no lascia la
cosa com’è e in questo senso le sue spiegazioni mi sono indifferenti. Suppongo
che il suo bisogno di spiegarsi la sofferenza e la difficoltà di farlo
costituiscano per lui un’ulteriore sofferenza e me ne dispiace. So però che è
inutile cercare di convertirlo alla saggezza (se è saggezza).
4) Cos’è per me la morte?
La morte è parte della
vita, è la chiusura biologica e necessaria di un ciclo. Sarebbe insopportabile
essere immortale.
Mi piace pensare che le
persone care che se ne sono andate, passeggino per i giardini soffici di
un lontano paese delle ombre, come pensavano i greci. Anche se la ragione mi
dice che tutto finisce per chi muore, nonostante che da quel corpo nasceranno
altre vite. La terra è fertile.
La morte è anzitutto un
pensiero, non un’esperienza, come sapeva Epicuro
(anche se è difficilissimo convincerne il prossimo). Poi la morte è la grande
liberatrice. “Finché c’è morte c’è speranza’’. Infine la morte è la più grande
creatrice e selezionatrice, poiché è per il suo lavoro che si costituiscono i
“resti”, ovvero tutto ciò che, salvandosi dal passato, apre alla vita e al
senso del futuro. È per l’azione della morte che ciascuno di noi parteciperà
del futuro, attraverso ciò che la morte, con la sua metamorfosi, avrà deciso di
trasmettere di noi; con le sue imperscrutabili “ragioni” (che ovviamente e per
fortuna, direi, non sono le nostre). Aggiungerei, come diceva Gentile,
che si muore agli altri e che sono gli altri (questo lo diceva Peirce)
che decidono del senso della nostra vita.
5) Sappiamo che siamo
nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo
costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i
suoi obiettivi nella vita e cosa fai per concretizzarli?
Perseguire un sogno penso
sia un modo di riempire la vita. Il mio sogno è scrivere pagine che chi legge
amerà. Tutto qui. E’ difficilissimo scrivere qualcosa che faccia innamorare di
sè. Ma ci provo.
Faccio di volta in volta
quello che posso, come tutti. Quali obiettivi ognuno si dà, nel corso
dell’esistenza, è un dato mutevole. Bisogna poi distinguere tra quelli che
ritiene coscientemente di perseguire (o che dice a sé e agli altri di
perseguire) e quelli che persegue davvero. Di questi è ben poco responsabile,
perché ognuno, come diceva Wittgenstein,
non può scrivere (cioè fare) neppure una riga più di ciò che è. Tutto sta in
ciò che ognuno è, a sua insaputa, senza volere, in modo oscuro ma tenace, ecc.
ecc. E gli obiettivi reali ne dipendono. Inutile cercare obiettivi di un certo
tipo in persone di un certo tipo: non so se mi spiego.
6) Abbiamo tutti un
progetto esistenziale da compiere?
Vivere è in sé stesso un
progetto esistenziale, nel mio caso, il mio progetto esistenziale sarebbe (o dovrebbe/potrebbe
esser stato?) avere una vita da uomo intraprendente, colto, giusto, decente, e
questo è/era già un progetto assai grande.
In fondo non credo ad un
progetto ma ad una attitudine. L'attitudine ad agire in sintonia col tuo tempo,
con la tua gente. Ad agire con onestà, con simpatia verso gli altri,
appassionandosi ai progetti futuri.
Il mio background
culturale mi dice che la ragione, la storia, la conoscenza sono sempre state
considerate gli strumenti con cui affrontare l'ignoto.
Infine proporrei di
girare la cosa così: siamo tutti in un progetto esistenziale (personale,
sociale, storico ecc.) che ci compie. Rendersene conto è quasi impossibile
(però si può provare).
7) Siamo animali sociali,
la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma
ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più
esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensi?
Credo che siamo esseri
umani e questa condizione è determinata dalla nostra tendenza alla socialità, a
riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana. Certo
che oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi
la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di
ESSERE SOCIALI magari studiando, come faccio io, almeno le basi di antropolgia
culturale.
8) Il bene, il male, come
possiamo riconoscerli?
Il bene e il male sono
categorie morali e hanno frontiere: il mio bene finisce là dove può fare il
male di altri.
Su questo non abbiano
problemi: li riconosciamo subito. I problemi cominciano quando pretendiamo di
convincerci che il nostro bene è anche quello degli altri e così il nostro
male. Qui la faccenda è così complicata da essere al limite irresolubile. Una
buona regola può essere quella di consultare anche gli altri in proposito e
magari di cercare di tenerne conto. Potrebbe capitare che ne derivi un po’ di
bene anche per noi.
Basterebbe il buon senso.
Da distinguersi dal “senso comune” che è altra cosa. Il buon senso è quel
sentimento di giustizia che tutti portiamo nel cuore. Il senso comune invece
può essere anche il conformismo creato dai mezzi di comunicazione di massa. Il
buon senso ci dice quando stiamo agendo male e
quando bene.
Certo si può anche agire male per ignoranza. Per quello è importante conoscere,
capire, informarsi. Ma anche gli ignoranti sanno cos’è il male sebbene siano
incapaci di fermarsi di fronte all'istinto di predazione e di aggressione.
Infine bene è tutto ciò
che conduce verso il raggiungimento dei propri fini donando soddisfazione a se
stessi e agli altri. Il male è fare del male agli altri anche quando si pensa
che questo sia il prezzo della propria felicità.
9) L’uomo, dalla sua
nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo
aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione,
cosa ti ha aiutato?
Sono agnostico e per me
la vita è una bella sfida. E dato che ho la fortuna di saper interconnettere
dialetticamente tutto ciò che accade non ho mai avuto bisogno né di inganni
religiosi, né di ricerche della luce per sapere dove sta il cammino che voglio
percorrere.
La ragione insieme
all’intuizione, sentire questa voce sottile e trovare la direzione. La ragione
con l’intuizione, la ragione con l’emozione, danno l’orientamento nella vita.
Il coraggio di pensare,
senza escludere nessuna ipotesi, anche le più radicali. Come l’imperatore
Adriano, vorrei continuare a vivere eppoi morire con gli occhi bene aperti, se
ce la farò (non sono mica un imperatore romano!).
10) Qual è per me il
senso della vita?
Non credo che rispetto
all'universo la nostra piccola vita abbia un senso. Siamo noi che, con umiltà,
(a volte anche con certezze pericolosamente e presuntuosamente assolute), con
paura, con fiducia, con poesia, diamo un senso alla nostra vita. Ma tutto
quello che viene dopo e prima rimane un grande mistero.
La vita basta a se
stessa. Non c’è bisogno di immaginare di aggiungerle sensi posticci; è più che
sufficiente ciò che accade ogni giorno (se lo si sa guardare bene). I “patiti
del senso”, quelli che dicono che non potrebbero vivere se la vita “non avesse
un senso”, non risvegliano il mio interesse. Diciamo che credo poco alle loro
professioni di senso. Anche per loro, immagino, la vita basta a se stessa, per
esempio caratterizzata (solo talvolta e invero per ben poco tempo, poiché per
lo più se ne dimenticano) dai loro stessi contorcimenti immaginativi sul senso
e sul non senso. Così amano dire dei loro tormenti, ma non sempre in armonia
con ciò che fanno. È un po’ come quelli che assicurano di non aver chiuso
occhio (ma li hai sentiti russare un bel po’). Non pretendo affatto, però, di
aver ragione. Così la vita ha senso per me e a me può bastare. Gli altri se la
vedano loro, con tanti auguri sinceri.
Fare
parte di un comunità del cosmo, a una comunità che è molto più vasta della
nostra, fare parte di un processo di evoluzione che coinvolge tutti gli
elementi di questo universo. Il senso è di essere parte consapevole di questo
processo.
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Talvolta si chiede cosa
significa la Phi, che cosa sia il phi greco e cosa significa filomate. A volte
sembra una lettera strana, che nasconda significati reconditi, affascinanti
quanto misteriosi. A volte è inutile cercare il mistero in tutto.
La parola filosofia o
philosophia inizia proprio con la lettera “phi” e filosofia significa “amore
per la sapienza”. la phi ha quindi un significato molto antico, accademico e
sapienziale, ma anche molto semplice come si vede. La philomatia e i philomates
sono coloro che “amano apprendere”. L’amore per l’apprendimento è necessario
per chiunque oggi come ieri (ma soprattutto oggi) voglia tenersi
informato. Non lo si fa soltanto studiando, ma soprattutto sentendosi partecipe
della vita che ci sta intorno, leggendo i giornali, seguendo la televisione e
internet. La phi-lomazia ha certo una sua storia, dall’Accademia di Alessandria
fino al teatro donato ai filomati italiani da un cardinale cattolico e dal
principe Mattias [N.d.r. Mátyás Hunyadi (Mattia Corvino), detto Mattia il
giusto, fu re d'Ungheria dal 1458 al 1490], ma soprattutto la phi
simboleggia il nudo e crudo desiderio di conoscenza, informazione,
partecipazione e di amore per la cultura. E perché le chiavi della scienza non
siano nascoste ai più, ma siano disponibili a tutti, occorre una lotta sempre
attiva.
7) Siamo animali sociali,
la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma
ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più
esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensi?
L’individualismo moderno
è uno dei frutti della grande rivoluzione economica in cammino dal
Rinascimento, con conseguenze sia buone sia cattive. L’individualismo
contemporaneo è in larga misura frutto della mercificazione universale e della
legge universale del mercato, fatta valere come unica e assoluta. A ciò si
accompagna un diffuso infantilismo edonistico e narcisistico: tutti si
atteggiano come merce appetibile sul mercato della concorrenza e dell’offerta.
Vedi la stupidità universale della moda (ormai i negozi di abiti sono di numero
crescente, come se l’unico problema della gente fosse di cosa si mette addosso
e in testa e non di cosa ha in testa). Naturalmente ci sono anche aspetti
positivi, il senso del valore della vita individuale ecc.
L’individualismo è
importante, ma non può escludere il fattore sociale. Ognuno deve riconoscere la
propria personalità, individualità, ma nell’ambito della comunità, altrimenti
vivrebbe nell’isolamento e nell’autarchia,
una strada sbagliata che non può condurre alla felicità.
L’individualismo è una
grande scoperta della civiltà occidentale che deve essere vissuto in un
contesto di sviluppo sociale.
Arnaldo Guidotti
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