Wednesday, 4 March 2015

IL SENSO DELLA MIA VITA



IL SENSO DELLA MIA VITA
MIE DOMANDE E MIE RISPOSTE
giugno 2014  ESILIO Tripoli Libia
1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, Che cos’è per me la felicità?
Non è affatto così nel mio caso giacché queste domande importanti sull’esistenza o sulla felicità me le sono poste in altri momenti, in momenti felici. La felicità non la si riconosce mai quando la si sta vivendo, ma sempre dopo. E’ una consapevolezza postuma. Si dice sempre: Ah com'ero felice!
Mai: Ah come sono felice! Segno che la felicità  è misteriosa e difficile da riconoscere mentre la stiamo vivendo. Molto chiara invece e riconoscibile salta fuori come rimpianto. Il che fa dubitare della sua reale esistenza. 
A differenza della gioia, che è un’esperienza momentanea, localizzabile in tempi e motivi definiti, forse la felicità ha un significato più generale. Aristotele avvertiva che una vita può essere eventualmente giudicata felice solo dopo che si è compiuta. Io userei anche un’altra formula, che mi piace molto e che dice così: felice è quella vita che realizza nella maturità (e/o nella vecchiaia) il sogno della giovinezza.
La felicità è raggiungere gli obiettivi prefissati nella vita, avere amici, avere intorno la famiglia, essere capaci di pensare e trovare almeno alcune risposte. Per me forse la felicità è poter trovare risposte usando il nostro (di illustri pensatori e – umilmente - mio) pensiero. 
2) cos’è per me l’amore?
L’amore è indubbiamente il più intenso dei sentimenti poiché è la somma di molti; nell’amore, come io lo intendo, confluiscono la necessaria chimica tra due persone, l’erotismo e la lealtà. Talvolta entrambe od una delle due diventa impossibile.
L'amore è sentire che non si può fare a meno di una persona. Ma sarebbe importante da tenere presente che:
a) la persona che ami non ti deve niente, b) che non è tua solo perché la ami, c) che non hai nessun diritto su di lei.
Ovvero devi rispettare la sua libertà e la sua persona per quello che è e non pretendere che sia come tu la vuoi…
So che è difficile, ma l’amore può fare questo miracolo. L'amore- possesso, l’amore-gelosia, l’amore-tirannia, l’amore-ossessione, sono copie a volte grottesche dell'amore più bello che è sempre generoso. 
Hegel diceva che l’amore è essere uguali in potere. La formula è bella e nobile, ma credo difficilmente realizzabile (c’è sempre chi ama di più di chi è amato e viceversa, magari a fasi alterne). Un segno certo dell’amore potrebbe essere il seguente: quando la felicità e la realizzazione dell’altro ci stanno a cuore indipendentemente o addirittura di più delle nostre. Questo può accadere, mi sembra di averlo sperimentato in me e in altri.
3) Come spieghi l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
La sofferenza non ha grandi spiegazioni, è parte dell’equilibrio della vita. Si vive tra l’allegria e la sofferenza.
Il Cristianesimo lo spiega con la cacciata dal Paradiso, il luogo dove non si conosceva il dolore. Il male rimane comunque un mistero; da dove viene e perché? E se Dio è onnipotente e fatto tutto di bene, perché non caccia il male? E perché nel mondo prevale il male? Insomma rimane un enigma. Io che sono laica tendo a pensare che il male sia parte delle forze dell'universo. La natura ha in sé la capacità di distruggere e la capacità di costruire. Queste due forze si contrappongono e creano conflitti a non finire. Gli esseri umani cercano disperatamente e a volte poeticamente, di trovare un equilibrio fra queste due forze potenti e terribili.
Non ho nessun bisogno di spiegarmi la sofferenza, forse perché non sono religioso. Diciamo che per ogni sofferenza ci sono buone ragioni, nel senso di ragioni sufficienti (come diceva Leibniz) a spiegarne l’insorgere. Di alcune possiamo cercare di attutire, o addirittura eliminare, gli effetti. Di altre no. Che qualcuno poi me lo spieghi oppure no lascia la cosa com’è e in questo senso le sue spiegazioni mi sono indifferenti. Suppongo che il suo bisogno di spiegarsi la sofferenza e la difficoltà di farlo costituiscano per lui un’ulteriore sofferenza e me ne dispiace. So però che è inutile cercare di convertirlo alla saggezza (se è saggezza).
4) Cos’è per me la morte?
La morte è parte della vita, è la chiusura biologica e necessaria di un ciclo. Sarebbe insopportabile essere immortale.
Mi piace pensare che le persone care che se ne sono andate,  passeggino per i giardini soffici di un lontano paese delle ombre, come pensavano i greci. Anche se la ragione mi dice che tutto finisce per chi muore, nonostante che da quel corpo nasceranno altre vite. La terra è fertile.
La morte è anzitutto un pensiero, non un’esperienza, come sapeva Epicuro (anche se è difficilissimo convincerne il prossimo). Poi la morte è la grande liberatrice. “Finché c’è morte c’è speranza’’. Infine la morte è la più grande creatrice e selezionatrice, poiché è per il suo lavoro che si costituiscono i “resti”, ovvero tutto ciò che, salvandosi dal passato, apre alla vita e al senso del futuro. È per l’azione della morte che ciascuno di noi parteciperà del futuro, attraverso ciò che la morte, con la sua metamorfosi, avrà deciso di trasmettere di noi; con le sue imperscrutabili “ragioni” (che ovviamente e per fortuna, direi, non sono le nostre). Aggiungerei, come diceva Gentile, che si muore agli altri e che sono gli altri (questo lo diceva Peirce) che decidono del senso della nostra vita. 
5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fai per concretizzarli?
Perseguire un sogno penso sia un modo di riempire la vita. Il mio sogno è scrivere pagine che chi legge amerà. Tutto qui. E’ difficilissimo scrivere qualcosa che faccia innamorare di sè. Ma ci provo.
Faccio di volta in volta quello che posso, come tutti. Quali obiettivi ognuno si dà, nel corso dell’esistenza, è un dato mutevole. Bisogna poi distinguere tra quelli che ritiene coscientemente di perseguire (o che dice a sé e agli altri di perseguire) e quelli che persegue davvero. Di questi è ben poco responsabile, perché ognuno, come diceva Wittgenstein, non può scrivere (cioè fare) neppure una riga più di ciò che è. Tutto sta in ciò che ognuno è, a sua insaputa, senza volere, in modo oscuro ma tenace, ecc. ecc. E gli obiettivi reali ne dipendono. Inutile cercare obiettivi di un certo tipo in persone di un certo tipo: non so se mi spiego.
6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?
Vivere è in sé stesso un progetto esistenziale, nel mio caso, il mio progetto esistenziale sarebbe (o dovrebbe/potrebbe esser stato?) avere una vita da uomo intraprendente, colto, giusto, decente, e questo è/era già un progetto assai grande.
In fondo non credo ad un progetto ma ad una attitudine. L'attitudine ad agire in sintonia col tuo tempo, con la tua gente. Ad agire con onestà, con simpatia verso gli altri, appassionandosi ai progetti futuri.
Il mio background culturale mi dice che la ragione, la storia, la conoscenza sono sempre state considerate gli strumenti con cui affrontare l'ignoto.
Infine proporrei di girare la cosa così: siamo tutti in un progetto esistenziale (personale, sociale, storico ecc.) che ci compie. Rendersene conto è quasi impossibile (però si può provare).
7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensi?
Credo che siamo esseri umani e questa condizione è determinata dalla nostra tendenza alla socialità, a riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana. Certo che oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di ESSERE SOCIALI magari studiando, come faccio io, almeno le basi di antropolgia culturale.
8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Il bene e il male sono categorie morali e hanno frontiere: il mio bene finisce là dove può fare il male di altri. 
Su questo non abbiano problemi: li riconosciamo subito. I problemi cominciano quando pretendiamo di convincerci che il nostro bene è anche quello degli altri e così il nostro male. Qui la faccenda è così complicata da essere al limite irresolubile. Una buona regola può essere quella di consultare anche gli altri in proposito e magari di cercare di tenerne conto. Potrebbe capitare che ne derivi un po’ di bene anche per noi.
Basterebbe il buon senso. Da distinguersi dal “senso comune” che è altra cosa. Il buon senso è quel sentimento di giustizia che tutti portiamo nel cuore. Il senso comune invece può essere anche il conformismo creato dai mezzi di comunicazione di massa. Il buon senso ci dice quando stiamo agendo male e quando bene. Certo si può anche agire male per ignoranza. Per quello è importante conoscere, capire, informarsi. Ma anche gli ignoranti sanno cos’è il male sebbene siano incapaci di fermarsi di fronte all'istinto di predazione e di aggressione.
Infine bene è tutto ciò che conduce verso il raggiungimento dei propri fini donando soddisfazione a se stessi e agli altri. Il male è fare del male agli altri anche quando si pensa che questo sia il prezzo della propria felicità.
9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ti ha aiutato?
Sono agnostico e per me la vita è una bella sfida. E dato che ho la fortuna di saper interconnettere dialetticamente tutto ciò che accade non ho mai avuto bisogno né di inganni religiosi, né di ricerche della luce per sapere dove sta il cammino che voglio percorrere. 
La ragione insieme all’intuizione, sentire questa voce sottile e trovare la direzione. La ragione con l’intuizione, la ragione con l’emozione, danno l’orientamento nella vita.
Il coraggio di pensare, senza escludere nessuna ipotesi, anche le più radicali. Come l’imperatore Adriano, vorrei continuare a vivere eppoi morire con gli occhi bene aperti, se ce la farò (non sono mica un imperatore romano!).  
10) Qual è per me il senso della vita?
Non credo che rispetto all'universo la nostra piccola vita abbia un senso. Siamo noi che, con umiltà, (a volte anche con certezze pericolosamente e presuntuosamente assolute), con paura, con fiducia, con  poesia, diamo un senso alla nostra vita. Ma tutto quello che viene dopo e prima rimane un grande mistero.
La vita basta a se stessa. Non c’è bisogno di immaginare di aggiungerle sensi posticci; è più che sufficiente ciò che accade ogni giorno (se lo si sa guardare bene). I “patiti del senso”, quelli che dicono che non potrebbero vivere se la vita “non avesse un senso”, non risvegliano il mio interesse. Diciamo che credo poco alle loro professioni di senso. Anche per loro, immagino, la vita basta a se stessa, per esempio caratterizzata (solo talvolta e invero per ben poco tempo, poiché per lo più se ne dimenticano) dai loro stessi contorcimenti immaginativi sul senso e sul non senso. Così amano dire dei loro tormenti, ma non sempre in armonia con ciò che fanno. È un po’ come quelli che assicurano di non aver chiuso occhio (ma li hai sentiti russare un bel po’). Non pretendo affatto, però, di aver ragione. Così la vita ha senso per me e a me può bastare. Gli altri se la vedano loro, con tanti auguri sinceri.
Fare parte di un comunità del cosmo, a una comunità che è molto più vasta della nostra, fare parte di un processo di evoluzione che coinvolge tutti gli elementi di questo universo. Il senso è di essere parte consapevole di questo processo.

 
Il significato della “Phi”
Talvolta si chiede cosa significa la Phi, che cosa sia il phi greco e cosa significa filomate. A volte sembra una lettera strana, che nasconda significati reconditi, affascinanti quanto misteriosi. A volte è inutile cercare il mistero in tutto.
La parola filosofia o philosophia inizia proprio con la lettera “phi” e filosofia significa “amore per la sapienza”. la phi ha quindi un significato molto antico, accademico e sapienziale, ma anche molto semplice come si vede. La philomatia e i philomates sono coloro che “amano apprendere”. L’amore per l’apprendimento è necessario per chiunque oggi come ieri (ma soprattutto oggi) voglia tenersi informato. Non lo si fa soltanto studiando, ma soprattutto sentendosi partecipe della vita che ci sta intorno, leggendo i giornali, seguendo la televisione e internet. La phi-lomazia ha certo una sua storia, dall’Accademia di Alessandria fino al teatro donato ai filomati italiani da un cardinale cattolico e dal principe Mattias [N.d.r. Mátyás Hunyadi (Mattia Corvino), detto Mattia il giusto, fu re d'Ungheria dal 1458 al 1490], ma soprattutto la phi simboleggia il nudo e crudo desiderio di conoscenza, informazione, partecipazione e di amore per la cultura. E perché le chiavi della scienza non siano nascoste ai più, ma siano disponibili a tutti, occorre una lotta sempre attiva.
7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensi?
L’individualismo moderno è uno dei frutti della grande rivoluzione economica in cammino dal Rinascimento, con conseguenze sia buone sia cattive. L’individualismo contemporaneo è in larga misura frutto della mercificazione universale e della legge universale del mercato, fatta valere come unica e assoluta. A ciò si accompagna un diffuso infantilismo edonistico e narcisistico: tutti si atteggiano come merce appetibile sul mercato della concorrenza e dell’offerta. Vedi la stupidità universale della moda (ormai i negozi di abiti sono di numero crescente, come se l’unico problema della gente fosse di cosa si mette addosso e in testa e non di cosa ha in testa). Naturalmente ci sono anche aspetti positivi, il senso del valore della vita individuale ecc. 
L’individualismo è importante, ma non può escludere il fattore sociale. Ognuno deve riconoscere la propria personalità, individualità, ma nell’ambito della comunità, altrimenti vivrebbe nell’isolamento e nell’autarchia, una strada sbagliata che non può condurre alla felicità.
L’individualismo è una grande scoperta della civiltà occidentale che deve essere vissuto in un contesto di sviluppo sociale.
Arnaldo Guidotti

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