Tuesday 5 May 2015

L'ETICITA' COME FELICITA' E AUTOREALIZZAZIONE DELL'ESSERE UMANO di Arnaldo Guidotti – dibattito Margherita 5.5.2015



All’interno dello Stato Etico (preferibilmente mondiale, ma comunque anche possibile come Stato nazionale), fondato sui principi filosofico-idealistici della razionalità dialettica e della libertà sostanziale, gli individui possono realizzare la propria essenza creatrice tramite la vita etica familiare e lavorativa. In tal modo la Ragione Assoluta, il Logos, si riproduce. In questo senso gli esseri umani individuali sono mezzi per la realizzazione dell’Assoluto, che gli sopravvive. Dove ciò porterà, se un giorno l’umanità non sarà più mezzo dell’Assoluto, ma governerà essa stessa l’Assoluto, non è dato sapere.

Vi è però un premio terreno che l’individuo riceve per aver garantito la riproduzione dell’Assoluto: si tratta della felicità. L’individuo che vive in modo etico, ossia che crea una famiglia stabile, all’interno della quale dà la vita sia naturale sia spirituale ad altri esseri umani, e che tramite il proprio lavoro soddisfa i bisogni di altri esseri umani, da lui riconosciuti come fine e mai considerati invece come mezzo, ha come gratificazione un sentimento di contentezza, di appagamento che lo rende appunto soddisfatto, appagato, contento. Questa è una felicità spirituale, condita da momenti di vera gioia, quale possono essere per es. la fase dell’innamoramento, la nascita di figli, la riuscita o l'ottenimento di un progetto ed insomma tutti quei momenti particolarmente significativi e pieni di coinvolgimento anche emotivo che scandiscono la vita etica degli individui. All’interno di questa felicità spirituale, che è quella adeguata alla natura appunto spirituale dell’essenza razionale propria dell’essere umano, vengono soddisfatti anche quei bisogni, quelle pulsioni, quegli istinti di carattere maggiormente materiale, che ne costituiscono la componente non essenziale, ma comunque anche esistente, ossia la corporeità.

La vita etica dell’essere umano è dunque una vita piena, sia spirituale sia corporea. La felicità è di carattere spirituale, ma tale da contenere anche il soddisfacimento della sensibilità.

È venuto ora infatti il momento di parlare di qualcosa che finora non è stato ancora trattato: le passioni, i sentimenti, insomma l'aspetto emotivo della personalità umana.

È evidente che l'essere umano non è soltanto da una parte, come spirito, razionalità e creatività e dall'altra, come corpo, istinti materiali di riproduzione della specie e dell'individuo, ma è anche emotività, sentimenti, passioni, insomma la dimensione cosiddetta 'patica', in quanto noi in essa siamo appunto passivi, subiamo tali emozioni, non le possiamo creare.

Nondimeno, al contrario degli istinti, che anche subiamo, le passioni ed i sentimenti ci riempiono la vita di significato, ci rendono felici, quanto possiamo viverli in modo positivo, ma anche infelici, quando invece non riusciamo in ciò. Se per es. abbiamo una forte passione per la cultura, ma per vari motivi, magari del tutto contingenti, non riusciamo a praticarla, per es. perché oberati di lavoro e di altri problemi relativi alla gestione della famiglia, tale passione non ci renderà felici, quanto piuttosto infelici, saremo infatti tristi per il fatto di non riuscire a praticarla quanto vorremmo. La stessa cosa si può dire della passione per una donna o per un uomo: se essa non è corrisposta avremo dolore, infelicità, se corrisposta invece gioia, felicità.

Quindi le passioni ed i sentimenti relativi di gioia o di dolore da una parte riempiono la nostra vita e veramente, come dicevano Goethe e Hölderlin, nulla di grande può esser fatto al mondo senza passione. Dall'altra parte essi possono anche provocare in noi uno stato d'infelicità anche grave, per cui in sostanza il nostro atteggiamento nei loro confronti non dev'essere naturalmente di repressione, poiché sono elementi essenziali alla vita, ma sicuramente di controllo. Noi dobbiamo essere i guardiani delle nostre passioni, dobbiamo trattarle come si fa con un cane aggressivo: lasciarle libere, quanto capiamo che possono soltanto provocare gioia e non causare alcun danno, ma tenerle ben strette al guinzaglio, se notiamo invece che esse possono provocarci infelicità e quindi renderci, da essere creativi e razionali, quali nella nostra essenza siamo, esseri invece passivi e irrazionali.

Il punto fondamentale è che noi siamo schiavi delle passioni, mentre liberi nelle azioni, appunto nella creatività. Ma non possiamo vivere senza passioni, perché solo queste danno potenza e significato alle nostre azioni. Il lavoro lo faremo tanto meglio quanto di più lo ameremo, quindi quanto più potente sarà la nostra passione per esso; anche nell'amore verso la nostra compagna o il nostro compagno di vita, saremo tanto più 'appassionati' e quindi amorevoli, quanto più forte sarà la nostra passione verso lei o lui. Ma questo elemento emotivo, questa passività, dev'essere da noi trasformata in attività, quindi la passione per un lavoro è ben che ci sia, ma se per caso nella nostra vita non ci sarà dato di poter svolgere proprio quel mestiere, non dobbiamo farci abbattere dall'infelicità, dal dolore provocato da questa necessaria rinuncia, poiché l'importante dal punto di vista etico è lavorare in modo creativo e fare qualcosa per soddisfare i bisogni dei nostri simili, questo è l'essenziale e l'irrinunciabile. Facendo ciò, anche se il lavoro non corrisponderà alle nostre aspettative ed alla nostra passione, nondimeno saremo fieri di noi, contenti di aver fatto qualcosa per la società, e quindi saremo ripagati sia in modo materiale, tramite la remunerazione, che ci consentirà di soddisfare poi anche i nostri bisogni di cibo ecc., sia in modo spirituale, in quanto saremo contenti, fieri di noi stessi e di aver contribuito al benessere dei nostri simili.

Lo stesso ragionamento va fatto nel caso dell'amore e della famiglia: si può avere una passione non corrisposta per un altro essere umano e ciò naturalmente può provocare dolore, quindi emozioni negative. Dobbiamo reagire e capire che l'importante è l'aspetto attivo e creativo, dunque fondare una famiglia con un essere umano col quale naturalmente stiamo volentieri, col quale ci sia comunanza di vedute ed insomma in linea generale il piacere di vivere insieme, anche se magari il legame non è così passionale e forte. La creazione della famiglia ci ripagherà poi di tutto e ci renderà felici, di una felicità consapevole ed attiva, di una pienezza di cuore e di ragione, di una fierezza di aver fatto qualcosa d'importantissimo, ossia dell'aver dato vita ad altri esseri umani, di averli educati come persone positive e perbene, oltre che di aver consentito ad un altro essere umano, il nostro partner, di essere a sua volta genitore e moglie o marito.

Insomma, senza le passioni non si può fare nulla di grande nel mondo, ma se ci facciamo dominare dalle passioni, allora non faremo proprio nulla e rischieremo di andare a fondo. Se le passioni sono il mare che trasporta la nostra nave, la nave della nostra vita, noi allora da bravi capitani non dobbiamo farci travolgere dalle onde, ma sapere esserne sempre in cima, seguire il moto ondoso sì, ma sempre restando noi al comando della nave, mai lasciarla in balia delle onde.

In conclusione, il premio terreno della vita etica dell'essere umano è allora la felicità. Essa si fonda anche su emozioni e su passioni, che però l'individuo ha dominato e trasformato da fattori passivi in attivi. Essi sono dunque ora parte di un progetto più ampio, che è un progetto attivo di creatività economica (il lavoro), politica (la partecipazione passiva o attiva alla vita dello Stato) e familiare (la famiglia).

La vita per la realizzazione di questi ideali è una vita piena, realizzata, naturalmente fatta di alti e bassi, non sempre tutte le giornate saranno piene di sole, ma la progettualità alla base dell'operare quotidiano darà un senso ai nostri giorni e quindi ci renderà felici, soddisfatti, realizzati.

Naturalmente si tratta di una felicità etica, quindi da adulti, non quella propria dei bambini; è quindi una felicità accompagnata dalla coscienza della finitezza della vita umana, una felicità in qualche modo accompagnata dalla malinconia causata da tale coscienza. Ma più di tanto l’essere umano non può fare: l’infinità sta nella compiutezza del finito, come si è visto nella parte relativa alla logica, non nella ripetizione all’infinito degli atti di vita. Pertanto noi dobbiamo aspirare ad una vita compiuta, realizzata, piena, non ad una vita eterna, se vogliamo restare sui binari della logica.

Dunque la vita stessa ha una fine, in quanto ha un compimento. L’essere umano può far tutto affinché la propria vita sia infinita nel senso di essere compiuta, di aver realizzato qualcosa d’importante in essa. Oltre questa compiutezza non può però andare, anche se l’anelito ad andarci è presente. Così anche noi non possiamo andare oltre il concetto della felicità, un po’ velata di malinconia, che abbiamo appena presentato. 

L’essere umano che con costanza e caparbietà supera tutte le difficoltà della vita, anche la stessa malinconia, e porta avanti tenacemente la realizzazione della vita etica, ha ‘carattere’. Il carattere è appunto la fermezza, fondata possibilmente su di un sapere filosofico, di quali siano i veri valori della vita. Tale sapere è la fonte della saggezza, che abbiamo visto essere lo scopo della filosofia. Saggezza che quindi può e deve essere quindi di tutti e non solo di pochi.

Possa questa conferenza contribuire a che nel mondo ci sia un pizzico in più di saggezza, di carattere, di felicità!


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