Saturday, 16 January 2016

WITHOUT LIBYAN FORCES REQUEST WHY ITALIAN OR EU MILITARY INTERVENTION IN LIBYA WOULD BE WRONG

There are two simultaneous processes going on Libya. One is political dialogue promoted by UN and supported (at least in words) from all countries of the area. His highlights were the international conference in Rome on 13 December 2015 and signatures of a peace agreement between Libyan factions four days later in Morocco.
Those signatures led to the creation of a national unity government led by former architect Faiez Serraj but still does not work in Libya.
Despite some significant progress, 18 January 2016 deadline for political process completion could go without that Libya has both a government recognized by international community and actually governing from the capital Tripoli.
The second parallel process in Libya is parallel IS (DAESH) advance and pressures in Europe and in Italy for EU armed response.
The so-called Islamic State in Libya has been operational for over a year. Initially formed by veterans of the Libyan war in Syria (the brigade "Battar"), Libyan Daesh was installed in Derna from which however was ousted last June by an unprecedented alliance between jihadists anti-IS and local people.
Now IS operates in central Libya, around the city of Sirte and consists of several thousand militants mainly of North African origin. The local population lives Daesh as a foreign occupation.

The expansion of Daesh Libya scares especially for its potential appeal for jihadists in the region which could provide an opportunity for training and military bases much closer to home but also for the possibility that jihadists come to control Libya oil resources and then attack Europe.
More will go up IS offensive level and stronger become reasons for Western air strikes.
UN Resolution 2259 approved in December provides that any form of "assistance" must go through new Libyan government approval, but the risk is that in the absence of progress in the first process (the political one, of course) some countries decide to attack all the same in Libya.
It is likely that in this case Italy will follow France, Britain and US also to have a say in their strategy.
It would be a serious mistake. It is not clear what air strikes could achieve against a force that has not strictly military characteristics but rather a terrorist force that moves from city to city.
Much better would be a ground attack made ​​by Libyan forces assisted by EU in the name of the liberation of the country from foreign occupation.
There are only embryos of this response: oil guards (in favour of Cyrenaica separation) rejected IS offensive on wells in coordination with Misrata air force, previously hostile.

Europe needs to increase the coordination between these forces and help all Libyan forces (municipalities, social forces, tribes) to give a united political response.
In the absence of united political response, Serraj would be delegitimized and armed groups not responsible.
Instead, Libyan unified response can ask, if necessary, for a Western air support.

ITALIAN TRANSLATION
Ci sono due processi simultanei in corso sulla Libia. Uno è il dialogo politico promosso dall’Onu e sostenuto (almeno a parole) da tutti i Paesi dell’area. I suoi punti culminanti sono stati la conferenza internazionale a Roma il 13 dicembre e la firma di un accordo di pace tra le fazioni libiche quattro giorni dopo in Marocco. Quella firma ha portato alla nascita di un governo di unità nazionale con a capo l’ex architetto Faiez Serraj che però ancora non opera in Libia. Nonostante qualche progresso significativo, la scadenza del 17 gennaio per il completamento del processo politico potrebbe passare senza che la Libia abbia allo stesso tempo un governo riconosciuto dalla comunità internazionale ed effettivamente governante dalla capitale Tripoli.
Il secondo processo in atto sulla Libia è l’avanzata in parallelo dell’Isis e delle pressioni, in Europa ed in Italia, per una risposta armata da parte europea. Il cosiddetto Stato Islamico in Libia è operativo da più di un anno. Inizialmente formato dai reduci libici della guerra in Siria (la brigata “Battar”), il Daesh libico si era installato nella città di Derna da cui però è stato cacciato nel giugno scorso da un’inedita alleanza tra jihadisti anti-Isis e popolazione locale. Ora opera nella Libia centrale, attorno alla città di Sirte ed è formato da alcune migliaia di militanti soprattutto di provenienza nordafricana. La popolazione locale vive Daesh come un’occupazione straniera.
L’espansione di Daesh in Libia spaventa soprattutto per il suo potenziale di attrazione per i jihadisti della regione a cui potrebbe offrire un’opportunità di addestramento e di basi militari molto più vicino a casa ma anche per la possibilità che i jihadisti arrivino a controllare le risorse petrolifere libiche e poi ad attaccare l’Europa.
Più salirà il livello dell’offensiva jihadista e più forti si faranno le voci per attacchi aerei occidentali. La risoluzione Onu 2259 approvata a dicembre stabilisce che qualsiasi forma di “assistenza” debba passare per l’approvazione del nuovo governo libico ma il rischio è che in assenza di progressi del primo processo (quello politico, appunto) alcuni paesi decidano di attaccare lo stesso in Libia. è molto probabile che in quel caso l’Italia si accodi a Francia, Gran Bretagna e USA anche per avere una voce in capitolo sulla strategia.
Sarebbe un grave errore. Non è chiaro cosa potrebbero conseguire degli attacchi aerei contro una forza che non ha ancora caratteristiche propriamente militari quanto piuttosto di una forza terroristica che si muove di città in città. Servirebbe piuttosto un contrasto a terra, fatto da forze libiche in nome della liberazione del Paese da un’occupazione straniera. Ci sono solo embrioni di questa risposta: le guardie petrolifere (di tendenza seccessionista della Cirenaica) hanno respinto l’offensiva sui pozzi in coordinamento con l’aviazione della città di Misurata, precedentemente ostile.
L’Europa deve far crescere il coordinamento tra queste forze ed aiutare tutte le forze libiche (comuni, forze sociali, tribù) a dare una risposta politica unitaria. Un intervento occidentale in assenza di ciò delegittimerebbe il governo di Serraj e deresponsabilizzerebbe i gruppi armati libici. Spetterebbe invece alla risposta unitaria libica di cui sopra, eventualmente, chiedere un supporto aereo occidentale.

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